L’escluso – meno 8

Aveva ragione Tom. Aveva ragione Tom quando diceva che sarebbe bastato trovare una donna per cambiare tutto. Ma a me non basterebbe una donna qualunque, a me servirebbe Margherita e Margherita se n’è andata, centinaia e centinaia di chilometri lontano da me.
Quando mi ha annunciato la sua partenza ho sentito qualcosa rompersi dentro di me, andare in frantumi. Ora so cos’era. Era l’ultimissima speranza che andava in pezzi. Non saprei spiegare perché ho avuto questa sensazione ma l’ho avuta e tutto il resto non conta. E ora? Come andrà a finire? Per quanto tempo ancora avrò la forza di trascinarmi avanti?
Ogni giorno è più faticoso del precedente. La conoscenza di Margherita ha esasperato ancora di più la mia situazione, se possibile. Sto esagerando, d’accordo. Con Margherita non è successo niente, d’accordo, abbiamo passato solo quattro sere insieme, d’accordo. La mia mente esacerbata ha eretto un edificio immenso privo di fondamenta, d’accordo. Ma sono fatto così e non posso farci niente. Se una donna attira la mia attenzione, cattura il mio interesse mi getto su di lei e dentro di lei a capofitto, anche se la conosco appena. Sono fatto male, lo so, ma non posso farci niente. Con le mie sciocchezze ho spaventato Margherita, lo so, ma non avrei saputo comportarmi diversamente. Avrei potuto proporle di restare in contatto ma non ho la forza né il coraggio di instaurare un rapporto, una conoscenza sull’assenza. Assenza è una delle parole chiave della mia vita ma se posso evitarla la evito. Non avrebbe avuto senso sentirci per telefono o per e-mail. Non avrebbe avuto senso per me, che vedo tutto o bianco o nero. Sarebbe stato grigio, un compromesso grigio che non avrei sopportato a lungo.
Margherita è riuscita a strappare il velo di parole che la intrappolava, che la isolava e le impediva di relazionarsi con gli altri e con il mondo. Io no, non ci sono riuscito. Forse non ci ho neanche mai provato ma non importa. Quel che importa è che sono diventato un uomo astratto, un uomo di carta stampata. E l’astrattismo, credetemi, è uno dei mali peggiori che possa contrarre l’uomo. Si diventa autoreferenziali in tutto e per tutto. Ci si isola, ma in un isolamento nocivo e ci si zittisce. Si diventa immobili. Ci si atrofizza. Statue di carne. Si odia.
Margherita è la confutazione della mia vita com’è ora. Com’è sempre stata. Margherita è energia e movimento, lotta e sentimento. Per questo motivo era lei la mia donna. Per questo motivo avrebbe potuto salvarmi. Ma la verità è che non c’è salvezza per me in questo mondo. Non c’è e non può esserci. Non mi sto piangendo addosso perché non l’ho mai fatto e detesto le persone che si piangono addosso. La mia è una semplice constatazione. L’autocommiserazione è una manifestazione sentimentale e io ormai non ho che un solo sentimento: il sentimento del nulla. Quando la consapevolezza diventa sentimento allora vuol dire che non c’è più niente da fare. Vuol dire che non si può più tornare indietro, che il limite è stato oltrepassato. C’è anche l’odio, sì, l’odio nei confronti di me stesso, degli uomini, di questo mondo, della natura. L’odio nei confronti di tutto insomma. Ma l’odio per me non è più un sentimento. L’odio in me si è evoluto, è diventato una condizione esistenziale. Io non vivo e neppure sopravvivo, io odio. Se servisse a qualcosa disseminerei questo povero mondo di ordigni. Ma so che sarebbe perfettamente inutile, che non cambierebbe niente e allora non lo faccio. Solo per questo. Potrei ammazzarvi ma non lo faccio perché non servirebbe a niente. Mettetevelo bene in testa. Vi sto graziando.
A volte mi domando cosa farei se avessi a disposizione un esplosivo dalla potenza straordinaria, capace di spazzare via in un istante questa pallina di merda sulla quale rotoliamo come scarabei stercorari, senza cadere mai. Lo immagino questo esplosivo. Lo creo, lo stringo nel pugno, perché è tanto potente quanto piccolo, e mi domando cosa fare. Afferrare una vanga, scavare fino al centro della terra e far saltare tutto? Oppure riservarlo a me solo? Alla fine opto sempre per questa seconda possibilità. Perché farvi sparire dalla faccia dell’universo senza che ve ne accorgiate e dunque senza soffrire, sarebbe un favore enorme. La vostra estinzione ve la dovete sudare e rallegratevi – rallegratevi! – perché siete a buon punto, amici miei.
Sia chiaro, dei miei fallimenti non accuso nessuno all’infuori di me stesso. Sarebbe troppo sciocco e io non sono ancora così sciocco. Ma spero di diventarlo. Spero di trovare un lavoro che mi rincoglionisca a tal punto da farmi smettere di pensare.
In questi giorni ho scoperto una cosa che non avrei mai immaginato. Ho scoperto che si può sognare anche senza dormire. Sognare davvero, come se si dormisse. Non si tratta di semplici fantasie ma di vere e proprie esperienze che si vivono in prima persona e che sembrano reali, in tutto e per tutto, come i sogni. Non saprei spiegarmi meglio.
Oggi, per esempio, ho sognato Margherita. Margherita madre di mia figlia, Luce, una splendida bambina di un paio d’anni. Insieme formavamo un quadretto familiare bellissimo ed eravamo felici. Io e Margherita giocavamo con Luce. Passeggiavamo per il lungomare di Nettuno, immersi nel sole. Un sole tiepido e carezzevole. Margherita prendeva luce per una mano, io per l’altra e la facevamo volare.
– Vola, vola, vola! – dicevamo in coro sollevando la bambina.
Luce rideva e noi due ridevamo con lei. Eravamo felici. Io mi sentivo in pace con me stesso e con il mondo intero. Non odiavo ma vivevo. Poi il sogno è svanito, di colpo, così come si era presentato e io sono sprofondato di nuovo nell’odio, ancora più a fondo. Se in questo momento un uomo mi urtasse per sbaglio mentre cammino in strada potrei farlo a pezzi.
Io non avrò mai un figlio e l’ho deciso da tempo. Ma quando dormivo, quando avevo ancora il sonno me lo sognavo spesso mio figlio. Lo sognavo sempre maschio. È la prima volta che sogno di avere una femmina. Se ho sognato mio figlio così spesso significa che inconsciamente desidero averne uno. Desideravo, perché nei sogni senza sonno simili interpretazioni forse non valgono. Forse non dovrei neppure chiamarli sogni ma visioni o qualcosa di simile.
Sto forse impazzendo? Magari! La pazzia sarebbe una cura. La pazzia renderebbe tutto meno faticoso e quindi più sopportabile. Come sarebbe bello naufragare senza averne coscienza, senza porsi domande. Come sarebbe bello naufragare ed essere felice di naufragare, abbandonarsi al mare in tempesta con un sorriso idiota sulle labbra. Come fate voi, che marciate verso l’oblio con un sorriso idiota sulle labbra. Può sembrare assurdo ma è così: ho più istinto della conservazione io che voi tutti messi insieme. Incredibile ma vero. Marciate, marciate verso l’oblio a passo di danza mentre vi raccontate barzellette e vi scattate selfie, emarginando colui che non si unisce alla vostra danza macabra. Che al di là dell’apparenza possa esserci qualcosa definito sostanza non potete neppure immaginarlo. Io non sono come voi. Io non sono mai stato come voi. Io non sarò mai come voi. Voi siete una cosa e io un’altra. Da una parte ci siete voi e il vostro povero mondo stupido e agonizzante, dall’altra parte ci sono io, io solo, rinchiuso nella mia fortezza di parole e d’idee. Fortezza inespugnabile, a meno che non sia io a decidere di buttarla giù. Per Margherita e per Luce l’avrei buttata giù.
Perché Margherita mi ha raccontato la sua storia? Perché ha sentito la necessità di rivelarmi il suo dolore trasfondendolo nel mio? Perché? Questo interrogativo mi tormenta.
Sono passati molti giorni, è arrivata la primavera e Margherita è lontana centinaia e centinaia di chilometri da me, ma non riesco a togliermela dalla testa, per quanto mi sforzi con tutto me stesso. La vedo sempre davanti ai miei occhi, in tutto il suo splendore, di cui lei non ha neppure un vago sospetto. Sento sempre la sua mano fredda nella mia mano ancora più fredda. La sua storia mi riecheggia sempre nelle orecchie e mi schiaccia. In ogni libro leggo la sua storia. Dentro di me ora porto un doppio dolore e pesa. Sono troppo leggero per sostenere a lungo questo peso. I giorni passano ma Margherita non passa mai. Il suo pensiero incombe ogni giorno su di me come lo sguardo inesorabile di Dio se esistesse e ho mentito, ho mentito spudoratamente quando le ho detto che mi bastava saperla. Come può bastarmi? Ascoltare e vivere la sua storia è stato come fare l’amore con lei ma non basta. Non è vero che mi basta saperla. Io vorrei divorarla. Sarebbe stato meglio ignorare la sua esistenza.
Ascoltando il racconto di Margherita ho provato innumerevoli sensazioni. Sono stato persino geloso, soprattutto geloso, di tutti gli uomini che ha avuto. Stolti, nessuno di loro ha compreso che fortuna enorme gli fosse capitata. Se fossi stato al loro posto avrei sacrificato tutto per Margherita. L’avrei messa al centro della mia esistenza e grazie a lei la mia esistenza sarebbe stata meno misera. Avrebbe avuto forse un senso. Quel senso che nessuna esistenza umana può avere. Ho incontrato e conosciuto Margherita nel momento sbagliato. È il mio egoismo che parla. Se l’avessi incontrata prima di Elena, prima del pugilato, prima della sconfitta della malattia e della resurrezione sarebbe stata mia. Ecco a quali pensieri può spingersi un uomo astratto, un uomo di carta stampata, rinserrato in se stesso e nella sua fortezza di parole e d’idee.
Un uomo come me una donna come Margherita non la merita. È questa la verità. La verità è dura ma è la verità. Un uomo ha sempre ciò che si merita e io non merito niente. Per questo motivo non ho niente. E non merito neppure di sfuggire anzitempo a questo niente. Ecco perché non ho la forza e il coraggio di autodistruggermi. Io dovrò soffrire fino in fondo il mio niente. Ho sempre considerato l’amore un’attività di elezione, l’unica via di salvezza, ma a me è vietato amare e soprattutto è vietato essere amato. Sono destinato a restare solo, in balia del niente, escluso, abolito dalla vita. Somiglia tanto a una condizione diabolica posta in cambio di qualcosa, ma io non ho mai ricevuto niente in cambio.
Tutto è inutile nella mia vita. Tutto. Sono inutili questi due diplomi di laurea, entrambi con lode, incorniciati e appesi alle pareti della mia camera come fossero impiccati. Sono inutili tutti i quaderni imbrattati di parole che conservo come reliquie. Sono inutili tutti i sacrifici fatti dai miei genitori per garantirmi un’esistenza più agevole e dignitosa della loro. Sono inutili tutti i pensieri che mi sono venuti in mente, tutte le idee concepite. Ogni vita umana è inutile ma la mia vita è la più inutile di tutte.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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